28/12/2011

Intervista al Preside di Economia - Prof. Giuseppe Ciccarone

Quali sono, secondo Lei, gli sbocchi professionali per i neolaureati provenienti dalla facoltà di Economia di cui è Preside e quali sono le possibilità per questi ragazzi di inserirsi in maniera efficace nel mondo lavorativo?
Le indagini svolte dal Servizio Orientamento e Tutoraggio della Facoltà di Economia nelle annualità pregresse mostrano che gli sbocchi professionali per i laureati triennali e magistrali sono, soprattutto, imprese industriali e commerciali e studi professionali. In particolare, dall’ultima indagine condotta nel 2010 su un campione di laureati nel 2009 intervistato dal personale del Servizio, risulta che il 33,3% dei laureati triennali ed il 31,17% hanno trovato collocazione in imprese manifatturiere e mercantili, mentre il 16,67% dei laureati triennali ed il 22,08% dei laureati magistrali nell’ambito di studi professionali. Secondo le elaborazioni dell’Ufficio, la maggior parte dei nostri studenti trova un lavoro prima di 3 mesi dall’acquisizione del titolo (33,33% laureati triennali e 28,57% laureati magistrali); inoltre, consegue occupazioni coerenti con il proprio percorso di studio (58,33% laureati triennali e 85,71% laureati magistrali). Il dato meno incoraggiante dell’inserimento nel mondo del lavoro dei laureati riguarda le condizioni contrattuali degli occupati; riflettendo una tendenza già ampiamente registrata a livello nazionale, la maggioranza degli impieghi è caratterizzata da contratti di stage o di inserimento/apprendistato, o comunque contratti a termine, mentre solo una modesta percentuale trova lavoro a tempo indeterminato (25% laureati triennali e 9,09% laureati magistrali).

Sono tanti i diplomati e i laureati che ogni anno escono da istituti e università e che non trovano il lavoro per cui hanno studiato. Molti dicono che i ragazzi sbagliano percorsi di studio e che la formazione non è in grado di adattarsi alle richieste delle imprese. Secondo Lei esiste questo divario fra istruzione e realtà lavorativa?
La formazione universitaria - anche a seguito della riforma degli ordinamenti didattici e l’introduzione delle lauree triennali e di quelle magistrali - è molto cambiata rispetto alla vecchia articolazione a ciclo unico (quadriennale). Attualmente, la maggior parte dei laureati triennali continua gli studi anziché inserirsi sul mercato del lavoro in quanto è ancora diffuso il convincimento che tale percorso sia inadeguato rispetto alle esigenze del mercato del lavoro. Sino a qualche anno fa, le imprese non avevano grande considerazione dei laureati triennali in quanto li reputavano di modesta preparazione. Adesso, tale atteggiamento sta cambiando ed anche società di consulenza note a livello internazionale iniziano a valutare ipotesi di assunzione di laureati triennali se si tratta di soggetti molto capaci.
Per quanto riguarda la laurea magistrale, non sono i ragazzi a sbagliare percorsi di studio, deve essere l’Università ad adattarsi continuamente alle sollecitazioni provenienti dal mercato del lavoro tramite il cambiamento dell’articolazione dei corsi di laurea e mediante una continua modifica dei contenuti dei singoli moduli erogati dai Docenti. In tale contesto, appare rilevante il coinvolgimento di testimonianze esterne di soggetti provenienti dal mondo imprenditoriale e consulenziale. Tale orientamento – finalizzato ad allineare sapere accademico ed esigenze delle imprese - mi risulta abbastanza diffuso nell’ambito dei nostri corsi di laurea magistrale ed è un elemento che ritengo di assoluta rilevanza. Ovviamente, una laurea magistrale non può sostituire un’esperienza lavorativa. L’Università insegna a ragionare e ad affrontare problemi complessi; inoltre, trasferisce nozioni e tecnicalities con moderata velocità, ma si tratta comunque di un’esperienza da “laboratorio”.
 
Secondo la Sua esperienza, un programma di studio all’estero (master, dottorati ecc) è un’esperienza efficace ed utile per un neolaureato per trovare un lavoro più consono alle proprie aspettative e al proprio percorso di studi? Se si, non si rischia l’export dei cervelli?
Un periodo di studio all’estero è molto formativo per numerose motivazioni. Innanzitutto, è “un’esperienza di vita” che, al di là dell’apprendimento professionale, costituisce una forma di arricchimento personale e può contribuire a sviluppare un notevole spirito di adattabilità a contesti diversi rispetto a quello di provenienza. Inoltre, facilita il confronto con lingue e culture diverse e rende più fluido l’inserimento in organizzazioni diverse qualora sia necessario cambiare lavoro. Infine, è fondamentale sottolineare che, ormai, anche lavorando in Italia è necessario conoscere lingue straniere e modelli manageriali tipici di Paesi diversi. Infatti, numerose imprese italiane hanno contatti con clienti e fornitori stranieri, altre sono filiali di imprese estere. In questi casi, è essenziale parlare altre lingue e conoscere le specificità culturali degli interlocutori (fornitori, clienti, azionisti). Certamente, viaggiare e studiare all’estero può facilitare “l’esportazione” dei cervelli; ma ormai non abbiamo scelta: per trattenere i migliori laureati in Italia, dobbiamo offrire loro un contesto competitivo rispetto ad altre destinazioni alternative più che chiuderci nei nostri confini seguendo modelli anacronistici ormai ampiamente superati.

Dal 2003, con la legge Biagi, all’Università è affidato il compito di sostenere i propri laureati nella fase di inserimento nel mercato del lavoro, secondo lei quali sono i passi in avanti che l'università dovrebbe fare per avvicinarsi alle necessità del mondo lavorativo?
Come ho osservato in precedenza, da un punto di vista formativo, l’Università dovrebbe effettuare uno sforzo continuo di adattamento della propria offerta didattica alle esigenze espresse dal mercato del lavoro sia tramite la modifica dell’articolazione dei corsi di laurea che mediante un cambiamento dei contenuti dei singoli moduli. Inoltre, dovrebbe favorire, con moderazione, la partecipazione in aula di soggetti esterni al mondo accademico in modo da vivacizzare il confronto culturale tra sapere accademico e professionale.

SOUL è il sistema di placement universitario, pubblico e gratuito, che accoglie oltre 63.000 utenti e più di 4.300 imprese. Qual’ è la sua opinione sul sistema di incontro domanda ed offerta di lavoro e tirocinio proposto da SOUL? 
Ritengo che il sistema proposto da SOUL costituisca un elemento positivo che ha contribuito alla riduzione della distanza fra domanda e offerta di lavoro. Inoltre, considerando il fatto che, attualmente, uno dei canali più utilizzati dai laureati per la ricerca di opportunità occupazionali  è il web, reputo questo sistema non solo efficace, ma indispensabile.

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